|
Oltre a quello cui si è fatto finora riferimento,
si prospetta, all'interno delle comunità, un ulteriore e più
raffinato processo di crescita culturale; esso comporta l'apprendimento
della capacità di leggere, in lingua originale, le grandi fonti
della tradizione ebraica, quindi non solo la Bibbia, ma anche il Talmud
e il Midrash e così via.
L'unica convincente prova pratica che esistano, accanto a quello ortodosso,
altri registri con cui leggere in modo legittimo questi testi sta nel
fatto che pure i cosiddetti laici solcano, con indiscussa competenza,
questi complessi e fascinosi sentieri.
Un simile tema, però, è dotato anche di altri e non meno
importanti sviluppi. In questi anni da varie parti, e in particolar modo
nel mondo cristiano, l'interesse per l'ebraismo ha registrato una crescita
notevolissima; sono, quindi, sempre più frequenti le situazioni
in cui è chiesto a degli ebrei di parlare della loro religione
e della loro cultura.
Purtroppo, però, non poche volte da parte ebraica si deve registrare
una preparazione non all'altezza di tale impegnativo compito. Il che,
aggiungiamo noi, fa sì che il monopolio in questo campo sia tenuto, in
pratica, dai rabbini, i quali, è ovvio, rappresentano una componente
essenziale del mondo ebraico; tuttavia essi, per linguaggio e formazione,
tendono a trasmettere, a volte, all'ascoltatore non ebreo un quadro dell'ebraismo
troppo uniforme.
Già in base a questa prima serie di considerazioni si può,
quindi, comprendere perché una scelta politica incentrata sulla
cultura ebraica si presenti come una via per giungere a una sintesi interna
e per favorire un dialogo verso l'esterno; solo un'identità culturalmente
matura e, di conseguenza aperta, è consona a instaurare un dialogo
con l'"altro".
Tenendo conto di ciò, abbiamo invitato Luzzatto
a esporci, in modo più approfondito, la sua visione dei rapporti
con il mondo cristiano. Egli ci ha risposto in modo assai pertinente e
articolato, preoccupandosi subito di aggiungere che, nell'attuale situazione
italiana, non si può ignorare neppure la presenza dell'islam.
Parlando dell'atteggiamento ebraico nei confronti del cristianesimo è
bene distinguere il discorso dei rapporti con la chiesa cattolica da quello
connesso alle relazioni con le altre chiese cristiane.
Naturalmente, rispetto ad alcune impostazioni teologiche, l'universo cristiano
presenta, al suo interno, dei punti di convergenza e delle differenze
invalicabili rispetto all'ebraismo. Non c'è dubbio, afferma Luzzatto,
che tra tutte le altre religioni il cristianesimo è quella che
l'ebreo sente più affine; con chi altri può, ad esempio,
condividere la convinzione non solo che vi è un messia, ma che
egli si qualifichi precisamente come figlio di Davide?
Certo, se parliamo di Gesù come figlio
di Dio le cose cambiano e tuttavia, prosegue
Amos Luzzatto, anche in questo caso basterebbe
prendere il discorso dall'altro verso, partendo cioè dalla paternità
di Dio, per costatare l'esistenza tra ebraismo
e cristianesimo non solo di affinità, ma addirittura di vere e
proprie identità di vedute rispetto al modo in cui Dio si rapporta
familiarmente con gli uomini.
Sul terreno dottrinale, però, l'accordo, ovviamente, non potrà
mai essere completo; si giungerà, infatti, inevitabilmente a uno
spartiacque invalicabile tra le rispettive dottrine. Tuttavia, ci si può
chiedere se nella volontà di impostare il discorso in modo esclusivamente
teologico non sussista, per così dire, un vizio di partenza.
Per rendere chiaro il suo pensiero in materia, Luzzatto
ci ha proposto un'esemplificazione che prende lo spunto da un argomento
tuttora di viva attualità: il documento vaticano, Noi ricordiamo
una riflessione sulla Shoah (cf. Regno-doc 7, 1998, 201; Regno att., 8,1998,269.).
Questo testo è stato giudicato da alcuni esponenti ebraici un significativo
passo avanti da parte della teologia cristiana, è effettivamente
così; il punto, però, sta proprio nel chiedersi se, quando si affronta
la storia del popolo ebraico, specie su un argomento di tale portata,
il linguaggio teologico possa effettivamente esaurire l'intero discorso;
l'ebraismo è sì una religione, ma è anche una cultura, un
modo di essere, in un certo senso anche un'identità nazionale.
La complessità di questo nodo non può essere ridotta a una
serie di pure proposizioni teologiche; e ciò vale anche quando
si rinnega l'antico antigiudaismo cristiano per cercare nuove e positive
aperture.
Nell'ambito della chiesa cattolica sembra di assistere a una specie di
irrisolta divaricazione; da un lato, infatti, si rileva la già
citata propensione nei confronti di un linguaggio prevalentemente teologico,
mentre, dall'altro, si assiste a un'azione di stampo prettamente diplomatico.
Ad esempio, il riconoscimento, pur altamente positivo, dello Stato d'Israele
da parte della S. Sede (cf. Regno-doc., 3,1994,81) si inscrive nella dimensione
specificatamente internazionale del rapporto fra stati e, in quanto tale,
esso non può coprire tutti i temi, anche non teologici, messi in
campo dalla presenza di un rapporto con la multiforme realtà ebraica.
Invero, pur registrando con soddisfazione i recenti sviluppi, non si può
dimenticare che la dimensione politico-diplomatica propria della chiesa
cattolica, in un passato non troppo lontano, ha dimostrato, nei confronti
degli ebrei, volti tutt'altro che positivi.
In quest'ambito, a detta di Luzzatto, va,
ad esempio, collocato anche il discusso tema dei "silenzi di Pio
XII". Il papa non fu certo l'unico a sapere e a tacere; le
potenze occidentali che stesero una coltre di silenzio sullo sterminio
nazista, si comportarono in questo modo in base a calcoli, giusti o sbagliati
che fossero, di natura strettamente politica: nella stessa prospettiva
va giudicato il comportamento di Pacelli
la cui azione fu chiaramente impostata tenendo conto della logica che
presiede ai rapporti tra stati.
E, aggiungiamo noi, considerazioni analoghe si potrebbero sicuramente
avanzare pure in relazione all'atteggiamento assunto dalla S. Sede rispetto
all'applicazione delle leggi razziali naziste e fasciste (cfr. Regno-att.,
14,1987,388) .
In definitiva, l'esistenza del popolo ebraico, è contraddistinta
da una varietà di fattori, religiosi, culturali, sociali, politici,
ecc., non riducibili né al polo della pura teologia, né
a quello della semplice diplomazia, per questo esso si presenta per la
chiesa cattolica come un interlocutore particolarmente ricco ed esigente.....
(fine prima parte......... continua)
PIERO STEFANI
Tratto da un articolo comparso nella rivista Il
Regno n. 16 del 15 settembre 1998, p. 514 e gentilmente concesso da PIERO
STEFANI, per ulteriori informazioni info@meetnet.it
.
É disponibile l'articolo completo in formato word, chiedilo alla
redazione
|
|